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CARMAGNOLA - Il suicidio di Alexandro Vito Riccio, avvenuto il 26 settembre 2021 nel carcere di Ivrea, ha sollevato interrogativi sulla gestione dei detenuti in condizioni di vulnerabilità psicologica. Riccio, che nove mesi prima aveva ucciso la moglie e il figlio a Carmagnola, aveva mostrato chiari segnali di disagio mentale, come accertato dalla sostituta procuratrice Valentina Bossi. Il ministero della Giustizia è stato citato come responsabile civile, mentre otto persone, tra cui dirigenti, psicologi e psichiatri del penitenziario, sono sotto inchiesta per presunta negligenza.

Nonostante un tentato suicidio subito dopo il crimine e ripetuti segnali d’allarme, secondo la procura Riccio non ricevette un’adeguata sorveglianza né il necessario supporto psicologico. Trasferito da Torino a Ivrea, attese due mesi per un primo colloquio con uno psicologo, nonostante le sue condizioni critiche. La scheda del rischio suicidio fu declassata da alto a medio, senza alcuna giustificazione documentata. In cartella clinica erano annotate crisi di pianto e dichiarazioni di disagio, ma le richieste di una visita psichiatrica vennero ignorate.

La magistratura accusa gli imputati di aver sottovalutato il pericolo e omesso misure preventive previste dai protocolli. Riccio trascorse sei mesi in un clima di abbandono e sofferenza, fino al gesto estremo: si impiccò con i pantaloni della tuta nel bagno della cella. Il caso riporta al centro del dibattito pubblico la necessità di un’efficace gestione della salute mentale nelle carceri e di un’attenta valutazione dei rischi per evitare tragedie. L’udienza preliminare riprenderà a giugno per decidere eventuali rinvii a giudizio.